martedì 9 giugno 2015

Essere proprietari d'azienda sta passando di moda?


Scrive Rifkin su "la società a costo marginale zero"

In America e altrove, centinaia di milioni di famiglie hanno capito di essersi indebitate fino al collo per riempirsi di «cose» pressoché inutili. La realtà nuda e cruda è che quando nei mercati mondiali il prezzo del greggio è salito a 147 dollari al barile, il potere d’acquisto è precipitato e l’economia è andata in tilt, lasciando a casa milioni di lavoratori. Si è allora diffusa la concreta paura di un’altra Grande Depressione, che abbiamo battezzato Grande Recessione. Senza stipendio e con poche prospettive, milioni di famiglie hanno fatto appello ai propri risparmi, solo per scoprire di non averne: avevano, invece, debiti astronomici, accumulati in quasi vent’anni di consumo smodato, durante la più sfrenata ondata di acquisti della storia. Un solo dato: nel 2008 il debito complessivo delle famiglie americane aveva raggiunto i 13.900 miliardi di dollari. Per uscire da una situazione del genere ci sarebbero voluti decenni, e gli economisti osservarono che, in ogni caso, i ragazzi delle nuove generazioni non avrebbero mai potuto avere un tenore di vita anche solo lontanamente paragonabile a quello dei genitori e dei nonni. (. . .)

Le famiglie hanno così cominciato a rendersi conto di essere state raggirate, di essere state indotte a contrarre una drammatica forma di dipendenza, che, alimentata a suon di miliardi e miliardi di dollari dall’industria pubblicitaria, li aveva condotti alle soglie della rovina e della disperazione"


E cosí cresce una nuova generazione per la quale il possesso di beni non diviene piú centrale, a favore dell'utilizzo in condivisione e dello sviluppo di esperienze individuali.

E nel mondo delle aziende? Anche qui la crisi iniziata nel 2008 ha messo in evidenza come essere proprietari esclusivi di una azienda comporta vantaggi ma anche un carico di rischi e responsabilitá. 

E questo fattore, insieme ad altri elementi quali la quantità di capitali richiesti per competere in un mondo globale, le difficoltà nei ricambi generazionali, sta lentamente facendo cadere un affermato pregiudizio delle famiglie imprenditoriali italiane, il tabù del "controllo azionario". 

Sta crescendo una nuova generazione di imprenditori molto più aperti a condividere la proprietà dell'azienda con investitori finanziari. Per molti giovani la situazione desiderata non é quella del controllo azionario della propria azienda, il possesso di una partecipazione insieme ad altri investitori forti é percepito più come un elemento immateriale che rafforza il vincolo di appartenenza e il significato del proprio lavoro.

In Marco Polo Advisor abbiamo potuto constatare il cambiamento in corso, un cambiamento che talvolta "disorienta" gli investitori finanziari per la rapidità con cui é avvenuto ("ma perché vogliono vendere?").

E se oggi in Italia sono solo 300 all'anno gli investimenti dei fondi censiti dall'AIFI, non é tanto per l'atteggiamento degli imprenditori quanto per la raritá delle società che presentano prospettive di creazione di valore in linea con le attese degli investitori.


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